La giornata internazionale delle bambine

11 ottobre 2012 (articolo di Luisa Betti da “Il manifesto”) – Qualche anno fa un’operatrice che lavorava in un campo profughi fuggiti dalla guerra in Iraq mi raccontò che non potendosi muovere da quella striscia di deserto le persone andavano in depressione, e che era fondamentale trovare loro qualcosa da fare; parlandomi degli adolescenti del campo mi diceva che i ragazzi cercavano di dare sempre una mano ma che primo tra tutti chiedevano un pallone, mentre le ragazze no, erano diverse: «Loro chiedono insistentemente libri – mi diceva – perché vogliono studiare, non sanno se potranno uscire mai dal campo ma non perdono la speranza e vogliono essere pronte per un futuro migliore».

Oggi si celebra la prima Giornata internazionale delle bambine indetta dalle Nazioni Unite: quest’anno essa ha come tema le spose bambine, sviluppato in una conferenza stampa stamattina a New York in cui l’Unfpa presenta il report “Marrying Too Young: End Child Marriage” – insieme all’inaugurazione della mostra fotografica “Too young to wed” di Stephanie Sinclair – annuciando di voler investire 20 milioni di dollari nei prossimi 5 anni per poter raggiungere le adolescenti di 12 paesi con alti tassi di matrimoni precoci tra cui Guatemala, India, Nigeria e Zambia.

Oggi l’Onu invita gli Stati “ad aumentare l’età minima legale del matrimonio a 18 anni per le ragazze e i ragazzi, e ad adottare misure urgenti per impedire il matrimonio tra bambini, perché, come per tutte le forme di schiavitù, i matrimoni precoci forzati dovrebbe essere criminalizzati e non giustificati per motivi tradizionali, religiosi, culturali o economici”. Unita alla battaglia c’è “Girls not Brides”, un’associazione mondiale – formata da 180 organizzazioni – che lavora contro il matrimonio precoce e che per oggi ha organizzato una call action su Googleper discutere sul tema; così come “Plan International”, che si batte per la scolarizzazione delle bambine, ha lanciato la campagna “Because I’m a girl” per cui oggi si coloreranno di rosa l’ottagono della Galleria Vittorio Emanuele di Milano, il London Eye, la Sirenetta di Copenhagen, l’Empire State Building di New York, il Sony Center di Berlino, l’Old Fort di Delhie, il Monumento as Banderiras di San Paolo, dove la gente potrà fermarsi per farsi fotografare con le mani alzate e partecipare all’iniziativa“Rise your Hand” mandando le foto a Plan.

Secondo l’Onu ogni anno 10 milioni di bambine sono costrette a sposarsi con uomini che potrebbero avere tre o quattro volte la loro età: il 46% è in Asia meridionale, il 38% nell’Africa sub-sahariana, il 29% in America Latina e nei Caraibi, 18% in Medio Oriente e Nord Africa, e in alcune comunità in Europa e Nord America. E se il matrimonio precoce è un grave ostacolo per l’empowermentdelle donne, in quanto blocca la capacità di tirarsi fuori dalla povertà, la probabilità di rimanere incinta in tenera età le espone al rischio di morte, a danni permanenti alla salute, per non parlare del tasso di violenza fisica e sessuale a cui una sposa bambina è sottoposta.

Ma torniamo ai numeri. Per Plan International nel mondo vivono 39 milioni di ragazze tra gli 11 e i 15 anni non scolarizzate, mentre per Terre des Hommes – ong che si occupa dei diritti dei minori e che ieri ha presentato a Roma il suo dossier “La condizione delle bambine e delle ragazze nel mondo” lanciando la campagna “In Difesa” per raccogliere fondi – ci aggiorna sul fatto che 130-140 milioni di ragazze nel mondo hanno subito una mutilazione genitale (circoncisione, escissione, infibulazione) e che 3 milioni di bambine rischiano ogni anno di essere sottoposte a questa pratica in 28 Paesi dell’Africa e del Medio-Oriente; mentre su un totale che oscilla tra i 300 mila e un milione 200 mila all’anno di minori sottoposti a trafficking, le bambine e le ragazze sono più della metà (UNODOC).Tra i 250mila bambini soldato impiegati negli eserciti regolari e irregolari di 85 Paesi, 100mila sarebbero femmine che sono anche costrette a subire violenze fisiche e sessuali terribili. Le bambine che lavorano – su 215 milioni di minori dai 5 ai 17 anni – sono il 40% del totale: 87,5 milioni di bambine di cui il 35% è impiegato in lavori pericolosi, mentre il 30% viene mandato in case per lavori domestici dove le piccole vengono ridotte in schiavitù con orari di lavoro massacranti, senza alcuna paga e con esposizione a violenze fisiche, verbali e sessuali. Le bambine poi sono anche quelle più esposte ad abusi sessuali in area domestica: si conta che da 500 milioni a 1 miliardo e mezzo di minori siano sottoposti a forme di violenza o abuso (ONU), e mentre i maschi sono più esposti a violenze fisiche, le femmine subiscono in maggioranza abusi sessuali soprattutto all’interno delle mura domestiche da parenti o conoscenti (OMS).

E allora perché il mondo si accorge solo ora che le bambine subiscono una doppia discriminazione – di genere e di età – e che sono il gruppo più discriminato ed esposto del Pianeta? Per Raffaele K. Salinari, Presidente Terre des Hommes, “gli squilibri che oggi attraversano il modello di sviluppo attuale ci dicono di una crescente esposizione delle bambine ad ogni sorta di esclusione, di violenza, di continua rimessa in discussione del principio fondamentale della parità tra i due generi”. E a dimostrare che ciò corrisponde al vero è il numero impressionante che riguarda il gendercidio: solo in Cina e in India mancano infatti all’appello 100 milioni di bambine, un fenomeno che l’economista indiano Amartya Sen ha definito il “mistero delle donne mancanti”. Uccise alla nascita o mai nate dopo la prima ecografia che ha mostrato il sesso del feto, queste bambine “mancanti” rispecchiano una società che giudicandole inutili o addirittura un peso per la famiglia, le discrimina prima di nascere, causando un grave squilibrio tra natalità femminile e maschile che nelle zone asiatiche è già visibile.

La premio Nobel Leymah Gbowee, sostenitrice di Plan, ha detto che questa giornata «sarà un momento storico per portare alla luce le situazioni che vivono le bambine nel mondo e dare modo ai media, alle istituzioni, ai governi e alle istituzioni educative di pensare”, anche perché “le bambine e le ragazze sono il futuro del mondo».

 

 

Cipsi

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