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Dublino 2 viola i diritti dei rifugiati

18 febbraio 2013 – Regolamento di Dublino, decennale amaro: persone detenute, asilo non garantito. Le storie di diritti negati. Compie dieci anni il Regolamento Dublino ma secondo il Cir e altre organizzazioni c’è poco da festeggiare. Il sistema che vincola i richiedenti asilo al primo Paese europeo di ingresso viola i diritti. Servono regole più umane.

Il Regolamento Dublino II viola i diritti dei rifugiati. È quanto afferma il rapporto The Dublin II Regulation: Lives on Hold, a dieci anni dalla sua entrata in vigore. Un compleanno fallimentare sia nei confronti delle persone che chiedono protezione, sia nei confronti degli Stati membri. C’è poco da festeggiare, secondo il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), il Forum Réfugiés-Cosi, l’ECRE, l’ Hungarian Helsinki Committee e altri organismi nazionali che hanno pubblicato lo studio comparativo su come il regolamento viene applicato in 11 Stati: Austria, Bulgaria, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Italia, Slovacchia, Spagna, Svizzera e Paesi Bassi.
Il Regolamento Dublino è il sistema che identifica lo Stato europeo competente per la decisione su una domanda d’asilo. La procedura prevede che un richiedente asilo debba restare nel Paese europeo in cui per la prima volta è stato identificato attraverso le impronte digitali. E quindi, se rintracciato a chiedere protezione in un altro Stato viene rimandato indietro nel primo Paese.

Il rapporto denuncia gravi conseguenze sui richiedenti asilo a causa dell’applicazione meccanica del sistema Dublino da parte delle autorità. Le persone vengono lasciate senza mezzi di sostentamento o detenute, l’accesso alla procedura d’asilo non è sempre garantito, le famiglie sono separate. Come nel caso avvenuto in Austria di un padre ceceno separato dal suo bambino appena nato e mandato in Polonia a causa del Regolamento Dublino.Il figlio invece è stato riconosciuto rifugiato in Austria con la madre.  I cosiddetti “casi Dublino” sono frequentemente trattati come “persone di serie B” che godono di meno diritti in termini di condizioni di accoglienza, dice  il rapporto. Vengono colpiti nel diritto all’alloggio, spesso costretti a ricorrere ai tribunali per accedere all’abitazione oppure a costruirsi alloggi di fortuna.
“Meno della metà dei trasferimenti concordati sotto Dublino sono realmente portati a termine, il che suggerisce il fatto che ci sia molta burocrazia sprecata – si  legge nella nota che accompagna la diffusione della ricerca – Tuttavia, nessun dato completo sul costo finanziario dell’ applicazione del Regolamento Dublino è stato mai pubblicato”. È prevista l’adozione del nuovo Regolamento Dublino III, che contiene dei miglioramenti, come il diritto ad un colloquio personale, ma mantiene i principi e le carenze alla base del Sistema Dublino. La richiesta è di rivedere la procedura per renderla più equa e più umana e per favorire l’integrazione in Europa dei rifugiati.

Le storie di diritti negati

Le trappole del Sistema raccontate attraverso due storie, di una famiglia irachena che ha chiesto asilo in Bulgaria dopo il viaggio in un Tir e di un afgano rimpallato fra la Svezia e la Germania

Un meccanismo kafkiano e infernale in cui le persone restano intrappolate e spedite come pacchi da un Paese europeo all’altro, con il rischio concreto di non veder tutelato il diritto di asilo. È questo in realtà il Sistema Dublino se si guardano le storie e le testimonianze raccolte dal Cir con il rapporto Lives on Hold. Il trasferimento immediato di una famiglia irachena di richiedenti asilo dalla Bulgaria alla Grecia, a causa dell’accordo di riammissione tra i due Paesi, è stato impedito solo attraverso l’intervento dei tribunali nazionali ed il coinvolgimento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La famiglia, composta da due bambini e dalla madre che in Iraq aveva subito violenza, oltre a vivere l’uccisione del marito e il rapimento di un figlio, era arrivata in Bulgaria nascosta a bordo di un tir dalla Grecia il 15 dicembre 2010. I tre erano stati  individuati dalle autorità bulgare, dopo l’ingresso irregolare in Bulgaria. La situazione fisica e psicologica della madre era molto fragile, a causa delle violenze subite. Il giorno seguente le autorità bulgare hanno ordinato il rimpatrio in Grecia in seguito agli accordi di riammissione e la famiglia è stata rinchiusa in un centro di detenzione per immigrati a Sofia. La madre è stata anche ricoverata in ospedale per le precarie condizioni di salute. Nonostante le ripetute richieste della famiglia irachena, assistita da un legale, di presentare la richiesta d’asilo, l’autorità bulgara preposta ha rifiutato di registrare la domanda per non interferire con i poteri della polizia di frontiera nel respingimento dei migranti in Grecia. Così l’avvocato ha investito del caso la Corte europea dei diritti umani per impedire la  deportazione della famiglia irachena in Grecia. A gennaio 2011 la Corte ha stabilito con una sentenza che respingere o rimpatriare in Grecia i richiedenti asilo viola la Convenzione europea per i diritti umani. Alcuni mesi dopo la famiglia ha ottenuto la protezione sussidiaria.

Un’altra storia di gravi violazioni del diritto d’asilo è quella di un afgano, Kazim, che ha viaggiato dalla Germania alla Svezia. Le autorità svedesi hanno richiesto a quelle tedesche di riprenderlo. La Germania ha accettato la responsabilità di esaminare la sua richiesta di asilo, ma ha respinto la domanda perché Kasim non era presente al colloquio e per la mancanza di una spiegazione ragionevole per tale assenza. In realtà, l’uomo si trovava ancora in Svezia dato che le autorità svedesi lo hanno espulso due settimane dopo la data del colloquio previsto in Germania.

Fonte: Redattore Sociale

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